CONDYLURA01
w/PAOLO BUFALINI
2021
Edizione di100
20 pagine
Broadsheet
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Scavando in cerca di vermi, la condylura è incappata in un wormhole: un vecchio album fotografico diviene la testimonianza di un paradosso temporale, una capsula cartacea per vedere ciò che sempre sarà già stato.
/ Le foto pubblicate sono state scattate da Paolo Bufalini e sua madre nel 2001 durante un viaggio negli Stati Uniti (Washington DC - Vermont - New York).
TEXT
Un vecchio album contenente le foto di un viaggio negli Stati Uniti, ritrovato dall’artista nella sua casa d’infanzia. Protagonista un bambino di sette anni, che viene fotografato sempre a fianco di altre cose, tutte gigantesche: What is a giant? chiede una targa museale dietro a un serpente di dimensioni ordinarie.
Scorrendo le pagine, si incontrano sarcofagi egizi, animali impagliati e scheletri vari, che attraversano il tempo profondo della vita terrestre, dal T-rex al rettile, fino alla battuta tra due zanne che sembrano un culo messo in mostra e le scimmie che ci ridono in faccia. Strani scorci di interni con dettagli medievaleggianti, un negozio di giocattoli con un robot gigante e un tramonto terribile, riflesso dai grattacieli che affacciano sulle macerie di Ground Zero. Spesso scure, oppure bruciate dal flash, sono fotografie evidentemente scattate da un bambino preso dalla foga dell’obiettivo, che lo corazza dai giganti.
Eppure sono troppe le corrispondenze con la pratica artistica di Paolo Bufalini; i paesaggi animali, tecnologici e psicologici catturati nella serie fanno eco a molte sue sculture e installazioni. Non si tratta solo della presenza ricorrente di ossa, case e codici; la sequenza di foto si muove per ellissi, attivando associazioni che intersecano la trama del viaggio famigliare.
Molti gli sguardi che sfidano chi li incrocia: dall’occhio quasi-umano del bisonte a quelli dipinti nella maschera egizia e nelle ali della farfalla. John Berger notava come lo sguardo dell’animale, fissandoci dallo stretto abisso di non-comprensione che ci separa, sia un dispositivo magico e metaforico, occhi al contempo volti-a e rivolti-in noi. Un potere probabilmente estendibile anche alle macchine.
Vengono subito in mente alcuni lavori di Paolo Bufalini, in cui la presenza animale sembra fare da specchio retrovisore al mito della macchina: quella moderna, meccanica, la mini-moto come l’automobile futurista, bloccata però da una ganascia di squalo; e quella informatica, un uroboro contemporaneo in cui il serpente, ricorrente nei miti quale soglia tra cielo (cloud) e terra (server), assume la forma dell’email, di suadente messaggio minatorio. E ancora artigli di rettile che squarciano guanti in neoprene, cuscini animati che respirano asceticamente all’unisono, crani umani avvolti in puzzle o coriandoli colorati e code di serpenti che protendono da berretti quasi fossero gli pseudopodi di un ragazzo mutante.
Si è tentati di parlare dell’album come la prova di un fascino lontano per l’alterità animale e tecnologica, come l’albume di un uovo di rettile che ha protetto e nutrito negli anni queste immagini. Ma il loro riemergere disturba una narrazione lineare di causa-effetto, aprendo a trame di paradossi temporali. Un fotoromanzo weird con viaggi nel tempo che riscrivono la consequenzialità degli eventi. Tra i molti occhi, si può contare anche una sezione di sequoia, un’enorme pupilla, che affonda le radici negli abissi temporali. Forse un wormhole, con un giovane argonauta in posa, pronto a vedere ciò che sempre sarà già stato.
C
Scorrendo le pagine, si incontrano sarcofagi egizi, animali impagliati e scheletri vari, che attraversano il tempo profondo della vita terrestre, dal T-rex al rettile, fino alla battuta tra due zanne che sembrano un culo messo in mostra e le scimmie che ci ridono in faccia. Strani scorci di interni con dettagli medievaleggianti, un negozio di giocattoli con un robot gigante e un tramonto terribile, riflesso dai grattacieli che affacciano sulle macerie di Ground Zero. Spesso scure, oppure bruciate dal flash, sono fotografie evidentemente scattate da un bambino preso dalla foga dell’obiettivo, che lo corazza dai giganti.
Eppure sono troppe le corrispondenze con la pratica artistica di Paolo Bufalini; i paesaggi animali, tecnologici e psicologici catturati nella serie fanno eco a molte sue sculture e installazioni. Non si tratta solo della presenza ricorrente di ossa, case e codici; la sequenza di foto si muove per ellissi, attivando associazioni che intersecano la trama del viaggio famigliare.
Molti gli sguardi che sfidano chi li incrocia: dall’occhio quasi-umano del bisonte a quelli dipinti nella maschera egizia e nelle ali della farfalla. John Berger notava come lo sguardo dell’animale, fissandoci dallo stretto abisso di non-comprensione che ci separa, sia un dispositivo magico e metaforico, occhi al contempo volti-a e rivolti-in noi. Un potere probabilmente estendibile anche alle macchine.
Vengono subito in mente alcuni lavori di Paolo Bufalini, in cui la presenza animale sembra fare da specchio retrovisore al mito della macchina: quella moderna, meccanica, la mini-moto come l’automobile futurista, bloccata però da una ganascia di squalo; e quella informatica, un uroboro contemporaneo in cui il serpente, ricorrente nei miti quale soglia tra cielo (cloud) e terra (server), assume la forma dell’email, di suadente messaggio minatorio. E ancora artigli di rettile che squarciano guanti in neoprene, cuscini animati che respirano asceticamente all’unisono, crani umani avvolti in puzzle o coriandoli colorati e code di serpenti che protendono da berretti quasi fossero gli pseudopodi di un ragazzo mutante.
Si è tentati di parlare dell’album come la prova di un fascino lontano per l’alterità animale e tecnologica, come l’albume di un uovo di rettile che ha protetto e nutrito negli anni queste immagini. Ma il loro riemergere disturba una narrazione lineare di causa-effetto, aprendo a trame di paradossi temporali. Un fotoromanzo weird con viaggi nel tempo che riscrivono la consequenzialità degli eventi. Tra i molti occhi, si può contare anche una sezione di sequoia, un’enorme pupilla, che affonda le radici negli abissi temporali. Forse un wormhole, con un giovane argonauta in posa, pronto a vedere ciò che sempre sarà già stato.
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