



CONDYLURA10
w/MATTIA PAJÈ
2025
Edizione di 100
20 pagine
Broadsheet
10 € BUY
Condylura publishes a free digital copy at sold-out
La condylura diviene uno strumento per la diagnostica radionica: dieci tavole, stampate a tutta pagina e singolarmente estraibili, perché possano essere interrogate. Nel lavoro di Mattia Pajè pseudo-scienze, spiritualismo e post-verità investono i mondi relazionale e affettivo, dando forma a una personale cosmologia speculativa, dove l’opera si fa oggetto magico, possibilità di aprire un’alternativa sulla realtà.
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Dieci tavole radioniche originali, stampate a tutta pagina e singolarmente estraibili, perché possano essere interrogate. Incastonate tra loro, producono ulteriori associazioni tra i mondi iconografici di teorie non ufficiali e dottrine pseudoscientifiche, che attingono a sincretismo religioso, astrologia, esoterismo, cabala, New Age revival, cultura pop e internet. Sono pagine sature di colori, sfondi sci-fi e composizioni copy-paste, dove il Caduceo, il Triune e il Labirinto di Chartres si affiancano a Ohm, stelle a sei punte e Taijitu, per connettersi con gerarchie angeliche, alieni Grigi, Buddha e Ganesh. Questa selezione di tavole sudamericane, dove la radionica ha un linguaggio visivo più vivace rispetto alle versioni europee, proviene dal vasto archivio di ricerca di Mattia Pajè, artista visivo nella cui produzione pseudo-scienze, spiritualismo, post-verità, media e magia investono il mondo relazionale – elementi quotidiani, biografici, affettivi – dando forma a una personale cosmologia speculativa.
La radionica, pratica terapeutica alternativa nata a inizio Novecento, si basa sull’idea che forme, simboli, circuiti e dispositivi possano canalizzare, modulare o amplificare energie sottili e intenzioni, agendo sul piano fisiologico, psicologico, spirituale. Informazione e vibrazione sono considerate elementi intercambiabili, che possono essere trasmessi e manipolati attraverso diagrammi o strumenti: l’operatore radionico contatta il paziente a distanza, riscrivendo e informando le frequenze del suo campo vitale, per risolverne gli squilibri.
Una tele-terapia, che si connette alla magia e al sacro nell’uso che fa della parola, del numero, del disegno – dove le immagini assumono una funzione mediatrice e trasformativa. Ma che è anche strettamente connessa all’età informatica ed emblematica della relazione tra neo-esoterismi e tecnica – il riferimento è in particolare agli studi di Erik Davis, da Techgnosis (1998) a High Weirdness (2019) – non solo perché la sua pratica fa apertamente uso di mezzi di comunicazione, ma perché ne reinterpreta l’operatività: una visione del mondo quale rete di energie, che appare coincidere con la rete informatica; un uso del segno quale strumento che può riscrivere i codici vitali, come un’interfaccia. La radionica si presenta come una sorta di equivalente nell’epoca elettronica di ciò che ha rappresentato il Magnetismo per l’età elettrica: esplorazioni incongrue e spettacolari, che svelano però – per citare le analisi di Tristan Garcia ne La vita intensa (2016) – una idea di modernità come promessa magica fatta dalla ragione.
L’infondatezza scientifica della radionica assume valore autopoietico nel contesto della pratica dell’artista, serve cioè a realizzare un dispositivo visivo-rituale che attiva trasformazioni immaginative, che si autodefiniscono e sostengono: un pendolino che oscilla tra la necessità del rito e il gioco dell’immaginario. Non semplici immagini, ma dispositivi estetici, strumenti sottratti al loro contesto per essere riattivati nel campo della performatività dell’immagine e contestualizzabili nella vasta produzione installativa e d’immagine dell’artista, dove i singoli oggetti o soggetti agiscono come elementi di un dizionario immaginativo e paraspeculativo. Operano trasformazioni e orientano percezioni, mescolano magnetismo e potenza simbolica, mediante un linguaggio non specificatamente narrativo, ma piuttosto diagrammatico, vicino alle logiche del simbolo, dove la funzione dell’elemento prevale sul racconto del contesto. Pajè agisce come una sorta di bricoleur, capace di comporre, o selezionare, amuleti visivi e dispositivi relazionali, ambientali, comportamentali. È lo stesso principio che anima operazioni come la mostra Fuori Terra e la parallela pubblicazione del manuale d’artista 1 (2022): selve d’immagini senza guida, costellazioni di connessioni possibili e apparizioni improvvise. Oppure lavori come Pila Thinkerwiller e Like atoms, I am different if I look at myself, dove lastre metalliche incise accumulano e catalizzano simboli e numeri che assumono il ruolo di condensatori di intenzioni, aprendo a innumerevoli possibilità o pulsioni inscritte nell’illustrazione di dinamiche relazionali, sia sociali che personali.
Seguendo le tracce che Georges Didi-Huberman indica ne L’immagine aperta, possiamo avvicinare questa selezione ad una raccolta di immagini operative, che non solo rappresentano, ma agiscono, sconfinano dalle loro fattezze, producono effetti. Interfacce, macchine spirituali che, per tornare a Erik Davis, funzionano da tecnologie dell’invisibile, capaci cioè di canalizzare forze e dare forma a ciò che sfugge alla logica lineare, in una sorta di pratica esoterica, intrisa di potere magico e di carica simbolica. In linea con le attenzioni dell’artista verso dinamiche sociali e digitali che producono fenomeni di controcultura e post-verità, pseudo-scienza e pseudo-storia, teorie del complotto e dottrine di medicina alternativa.
Il ruolo che assume la radionica in Pajè non è di tecnica occulta, ma di tecnologia dell’immaginazione: una struttura che mantiene il suo magnetismo formale e la sua promessa di efficacia, trasformandosi in promessa artistica capace di generare ritualità nuove. Non importa tanto la verità della pratica, quanto la sua capacità di produrre uno spazio di possibilità, sospeso e non finito. La cui fruizione avviene per attraversamento, per contatto, in uno spazio in cui la pagina diventa elemento rituale. Così il giornale non si limita a contenere immagini: è amuleto, dispositivo esoterico, archivio attivo, immagine aperta pronta a performare di volta in volta, assumendo nuove autenticità, individuate da chi lo manipola.