CONDYLURA02
WIELAND SCHÖNFELDER


2021
Edizione di 100
20 pagine
Broadsheet


6 €

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Condylura ha scavato da Bologna a Berlino per scoprire che l'arte visiva può essere il portare in superficie un monologo rimasto inascoltato. "L'uovo e la figura", un libretto teatrale che annuncia la prossima mostra di Wieland Schönfelder in Portogallo.





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Un’opera teatrale italiana del XVIII secolo, sconosciuta e non ancora pubblicata, dà accesso al processo di creazione di mondo dell’artista Wieland Schönfelder, trasformando la pubblicazione in un libretto, all’interno del quale potrebbe celarsi un manifesto.
Confessioni di carni tormentate, chiamate all’azione politica, scene del crimine, indulgenze, lotte intellettuali e umiliazioni, rendono un mosaico frammentato di questa commedia corale, vissuta da una serie di personaggi dai nomi barocchi e italiani: Severino, Azzo, Barnabuccio, Conte e Contessa de Chiozza. Nomen est omen: attraverso il calembour l’artista accenna al nucleo politico dell’opera, chi parla italiano riconoscerà subito il gioco di parole “sederino” e “cazzo”. Giocoso, ironico, eppure struggente; un tentativo di evirazione dà voce a un accorato monologo contro le norme sociali che opprimono i corpi e le identità di genere. La pistola di Cechov non spara, ma innesca comunque un processo.
Il libretto si apre con una citazione del monologo di Barnabuccio, l’attore protagonista, che distilla una teoria sulla politica dell’estetica, l’uovo e la figura: La libertà ora governa la bellezza. La natura ha fornito la bellezza della forma, l’anima fornisce la bellezza dell’opera. Ora sappiamo anche cos’è la grazia. La grazia è la bellezza della forma sotto l’influenza della libertà, la bellezza di quelle apparenze che la persona determina.
Un altro motto latino, Mundus est fabula, citato nell’indice delle scene, può fornire ulteriore accesso all’opera di Wieland Schoenfelder. Quasi un incantesimo, ma di raziocinio, essendo meta-inscritto nel ritratto di Cartesio di Jan Baptist Weenix. È il cogito, il discorso cartesiano sul metodo, che non si propone quale sistema o modello, ma come favola, per mettere in scena il proprio percorso personale acceso dal dubbio nei confronti di altre favole. Maurice Blanchot cita il dipinto discutendo la filosofia di Nietzsche e l’idea del mondo come testo, del potere della scrittura come svelamento attraverso il velo della metafora: Che cosa è un testo? Un insieme di fenomeni che si tengono sotto lo sguardo; e cos’è scrivere se non dare da vedere, far apparire, portare alla superficie?
L’uovo e la figura arriva a esibire le viscere: la realtà che sta sotto lo sguardo – perché in questa favola corpo e anima sono semplicemente parole di una realtà cangiante – o forse un espediente, l’aringa rossa, per farci perdere tra i frammentati sentieri della narrazione. Potremmo però continuare a seguire il sentiero che suggerisce come i mondi dell’artista e dei personaggi possano essere il medesimo. Il motto di Cartesio appare infatti nella scena 7, in cui Barnabuccio non riesce a pronunciare il suo monologo per una terribile ansia da palcoscenico, che lo induce a cercare la mano dello scenografo Quinto. Avendo precedentemente lavorato sia come attore che scenografo, la pratica di Schönfelder manifesta un costante confronto dei confini tra teatro e arti visive (Barnabuccio-Quinto!), sfumando le cornici scenica ed espositiva attraverso la creazione di strani mondi palesemente allestiti, all’interno dei quali sono spesso indagate nozioni provenienti da teoria politica, estetica e metafisica – da discutere a colpi di wrestling. La favola si meta-rivolge e dietro le quinte viene svelato l’atto in cui il gesto si assenta nell’oggetto. Attraverso il velo dello spettacolo, Schönfelder svela il suo atto creativo: portare alla superficie il monologo inascoltato di Barnabuccio. Alla fine si può scegliere la profondità del grotto di Platone, velare attraverso la favola, svelare attraverso la metafora.
L’uovo e la figura, anacronismo al servizio della grazia. Perché, se messi alla corda, si può sempre rispondere con una posa di danza. Ribaltare per credere.


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