CONDYLURA04
w/GIULIANA ROSSO
2021
Edizione di 100
20 pagine
Broadsheet
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Una zuppa di umori biliari e input elettrici provoca uno strappo in prima pagina, l'invito è quello di esplorare le profondità della tana del bianconiglio, entrando in una gola apertasi in cucina, attraverso lo stomaco sotterraneo. La pagine hanno guidato la condylura in un viaggio intimo ma generazionale, tra i paesaggi pshichici e somatici di un trip metabolico.
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Una zuppa lisergica provoca uno strappo in copertina, una pagina bianca che, filtrata dal prisma onirico, irradia il giornale di arcobaleni nefasti. L’invito è quello di esplorare le profondità della tana del bianconiglio, attraverso una gola apertasi in cucina e continuando in uno stomaco sotterraneo. Il viaggio è intimo ma generazionale, un trip metabolico attraverso cui viene digerita l’esperienza di un mondo acido, fatto di traumi personali che gettano però luce su più ampie cronicità sociali: attività intestinale analitica.
Protagonista di questo viaggio intestino è lo stato di inquietudine che lega l’adolescente alla percezione di sé e del mondo. Dalle esili figure che fanno da guida – popolando le pagine di solitudine, ansia e abbandono di sé – alle esplosioni copy-paste di riferimenti agli anni Novanta, cartoni animati e giocattoli che compongono la memoria condivisa della generazione cresciuta negli anni di Giuliana Rosso. La paura fa 90’s! Soggetti e ricordi si tingono di atmosfere creepy e weird, tra corpi zombificati, tratti graffiati e colori acidi, tossici, quasi rigurgitati: una Fabbrica dei mostri mentale che genera un mondo di sensazioni difficilmente traducibili o replicabili. Rievocazioni e oblii si caricano di atmosfere che ricordano un altro simbolo del decennio, i libri della serie Piccoli Brividi, dalle radioattive grafiche di copertina agli adesivi in ultima pagina, che sembrano ritornare nei montaggi di emoticon e immagini compresse. È la stessa memoria di quell’età ad apparire riemersa da un processo di compressione Lossy, come i layer di un meme in cui Shrek taglia la strada con una katana a un Biker Mice proveniente da Marte al grido di Mamma ho perso l’aereo!
Una continuità tra le realtà percettive del foglio e dello schermo che ricorre nella pratica artistica di Giuliana Rosso, caratterizzata da un approccio alla pittura espanso e ibridante. Dall’uso di tecniche tratte dall’illustrazione, alla scelta di colori che sembrano sintetizzati dai cristalli liquidi, fino alle fuoriuscite nello spazio tridimensionale dell’installazione, più vicine però alla presenza aumentata dell’oggetto digitale che ad interessi tradizionalmente scultorei. Ricorrente nella sua opera è anche la presenza dell’infanzia e dell’adolescenza, non tanto per un interesse tematico ma piuttosto per la loro capacità di incarnare una condizione psichica ed emotiva che evoca trasformazioni sociali in atto. Nessun panico. Nessun dorma. Il viaggio è insonne come una vita passata sotto la luce blu dello schermo, alimentandosi di una zuppa di umori biliari e input elettrici che ricordano le pagine di Bifo sulla mutazione connettiva o quelle di Fisher sulla vicinanza tra il realismo del depresso e il realismo capitalista, che secondo il critico inglese è arrivato proprio durante i Novanta ad assumere un peso ontologico. Ne riconosciamo i glitch quando i meccanismi della dimensione onirica e i disturbi legati al funzionamento della memoria divengono emblemi di uno stato di alterata stratificazione del tempo negli stagni del pensiero: la base del perfetto minestrone retrotopico.
È il mondo che sempre più infonde brividi, neanche tanto piccoli, rispecchiandosi negli scenari allucinati e fantastici della narrazione in immagini di Giuliana Rosso, delle sue ambientazioni fosforescenti, che sembrano appartenere a una logica tanto magica quanto farmacologica. La pillola è agrodolce, l’avventura nell’apparato digestivo della memoria si risolve infatti sotto cieli sereni, di distesa contemplazione. I paesaggi psichici e somatici del viaggio finiscono per comporre un rito collettivo di esorcizzazione dei mostri: Trick or treat, smell my feet, give me something good to eat, che sia una minestra solida, un ramen-emoticon, una passata di passato, oppure un biscottino fantasma.
C
Protagonista di questo viaggio intestino è lo stato di inquietudine che lega l’adolescente alla percezione di sé e del mondo. Dalle esili figure che fanno da guida – popolando le pagine di solitudine, ansia e abbandono di sé – alle esplosioni copy-paste di riferimenti agli anni Novanta, cartoni animati e giocattoli che compongono la memoria condivisa della generazione cresciuta negli anni di Giuliana Rosso. La paura fa 90’s! Soggetti e ricordi si tingono di atmosfere creepy e weird, tra corpi zombificati, tratti graffiati e colori acidi, tossici, quasi rigurgitati: una Fabbrica dei mostri mentale che genera un mondo di sensazioni difficilmente traducibili o replicabili. Rievocazioni e oblii si caricano di atmosfere che ricordano un altro simbolo del decennio, i libri della serie Piccoli Brividi, dalle radioattive grafiche di copertina agli adesivi in ultima pagina, che sembrano ritornare nei montaggi di emoticon e immagini compresse. È la stessa memoria di quell’età ad apparire riemersa da un processo di compressione Lossy, come i layer di un meme in cui Shrek taglia la strada con una katana a un Biker Mice proveniente da Marte al grido di Mamma ho perso l’aereo!
Una continuità tra le realtà percettive del foglio e dello schermo che ricorre nella pratica artistica di Giuliana Rosso, caratterizzata da un approccio alla pittura espanso e ibridante. Dall’uso di tecniche tratte dall’illustrazione, alla scelta di colori che sembrano sintetizzati dai cristalli liquidi, fino alle fuoriuscite nello spazio tridimensionale dell’installazione, più vicine però alla presenza aumentata dell’oggetto digitale che ad interessi tradizionalmente scultorei. Ricorrente nella sua opera è anche la presenza dell’infanzia e dell’adolescenza, non tanto per un interesse tematico ma piuttosto per la loro capacità di incarnare una condizione psichica ed emotiva che evoca trasformazioni sociali in atto. Nessun panico. Nessun dorma. Il viaggio è insonne come una vita passata sotto la luce blu dello schermo, alimentandosi di una zuppa di umori biliari e input elettrici che ricordano le pagine di Bifo sulla mutazione connettiva o quelle di Fisher sulla vicinanza tra il realismo del depresso e il realismo capitalista, che secondo il critico inglese è arrivato proprio durante i Novanta ad assumere un peso ontologico. Ne riconosciamo i glitch quando i meccanismi della dimensione onirica e i disturbi legati al funzionamento della memoria divengono emblemi di uno stato di alterata stratificazione del tempo negli stagni del pensiero: la base del perfetto minestrone retrotopico.
È il mondo che sempre più infonde brividi, neanche tanto piccoli, rispecchiandosi negli scenari allucinati e fantastici della narrazione in immagini di Giuliana Rosso, delle sue ambientazioni fosforescenti, che sembrano appartenere a una logica tanto magica quanto farmacologica. La pillola è agrodolce, l’avventura nell’apparato digestivo della memoria si risolve infatti sotto cieli sereni, di distesa contemplazione. I paesaggi psichici e somatici del viaggio finiscono per comporre un rito collettivo di esorcizzazione dei mostri: Trick or treat, smell my feet, give me something good to eat, che sia una minestra solida, un ramen-emoticon, una passata di passato, oppure un biscottino fantasma.
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