GSG 2024


2025
Edition of 50
Paperback


Design di Marco Casella (VISIVO std.)


20 €    BUY


Questo libro raccoglie contenuti visivi e letterari creati grazie alla collaborazione di tutte le persone che nel 2024 hanno attraversato lo spazio Gelateria Sogni di Ghiaccio.





Il libro raccoglie materiale visivo e letterario legato alla programmazione 2024 di Gelateria Sogni di Ghiaccio, il primo anno in cui lo spazio d'arte bolognese ha sperimentato con una direzione collettiva. Esperienza che ha portato nel 2025 all'espansione del collettivo e alla produzione di una programmazione artistica a cadenza settimanale. La pubblicazione è realizzata da VISIVO e pubblicata da GSG in collaborazione con Condylura.

Gelateria Sogni di Ghiaccio è un artist-run space a Bologna, attivo dal 2016, dedicato all’organizzazione di mostre ed eventi incentrati sulle arti visive, sonore e performative. Lo spazio ospita mostre, performance, live set, incontri, presentazioni, discussioni, portfolio review, approfondimenti critici e feste. Il nome Gelateria Sogni di Ghiaccio è stato donato come opera d’arte dall’artista Roberto Fassone nel 2016. Il progetto è stato fondato dagli artisti Filippo Marzocchi, Mattia Pajè e Marco Casella e si è evoluto nel tempo in un progetto a gestione collettiva (friends-run space).


Direzione collettiva 2024:

Lorena Bucur, Paolo Bufalini, Marco Casella, David Casini, Caspar, Condylura, Giulio Dal Molin, Claudia Gangemi, Mattia Pajè, Daniele Pulze, Federica Scaringello.

Direzione collettiva 2025:

Lorena Bucur, Paolo Bufalini, Enrico Camprini, Marco Casella, Caspar, Condylura, Stefano Faoro, Niccolò Morgan Gandolfi, Claudia Gangemi, Giulia Giacomelli, Allison Grimaldi Donahue, Yuna Leonis, Giacomo Mallardo, Caterina Molteni, Agnese Oprandi, Mattia Pajè, Edoardo Pische, Daniele Pulze, Pasquale Savignano, Olivia Teglia, Elisa Zanta.





GSG 2024


2025
Edition of 50
Paperback


Design by Marco Casella (VISIVO std.)


20 €    BUY


The book collects visual and literary content created through the collaboration of all the people who, in 2024, engaged with the activities of the art space Gelateria Sogni di Ghiaccio in Bologna.






The book collects visual and literary material connected to the 2024 program of Gelateria Sogni di Ghiaccio, capturing the first year in which the art space experimented with a collective direction. This experience led in 2025 to the expansion of the collective and to the launch of a weekly art program. The publication is designed by VISIVO and published by GSG in collaboration with Condylura.

Gelateria Sogni di Ghiaccio is an artist-run space in Bologna active since 2016, dedicated to organizing exhibitions and events focused on visual, sound, and performance art. The space hosts exhibitions, performances, live sets, meetings, presentations, discussions, portfolio reviews, critical deep dives, and parties. The name Gelateria Sogni di Ghiaccio (Ice Dreams Gelato Shop) was gifted by artist Roberto Fassone as an artwork in 2016. The project was founded by artists Filippo Marzocchi, Mattia Pajè and Marco Casella and has evolved over time into a collectively managed project (friends-run space).

Collective management 2024:

Lorena Bucur, Paolo Bufalini, Marco Casella, David Casini, Caspar, Condylura, Giulio Dal Molin, Claudia Gangemi, Mattia Pajè, Daniele Pulze, Federica Scaringello.

Collective management 2025:

Lorena Bucur, Paolo Bufalini, Enrico Camprini, Marco Casella, Caspar, Condylura, Stefano Faoro, Niccolò Morgan Gandolfi, Claudia Gangemi, Giulia Giacomelli, Allison Grimaldi Donahue, Yuna Leonis, Giacomo Mallardo, Caterina Molteni, Agnese Oprandi, Mattia Pajè, Edoardo Pische, Daniele Pulze, Pasquale Savignano, Olivia Teglia, Elisa Zanta.




CONDYLURA10
w/MATTIA PAJÈ


2025
Edizione di 100
20 pagine
Broadsheet



10 €    BUY

Condylura publishes a free digital copy at sold-out




La condylura diviene uno strumento per la diagnostica radionica: dieci tavole, stampate a tutta pagina e singolarmente estraibili, perché possano essere interrogate. Nel lavoro di Mattia Pajè pseudo-scienze, spiritualismo e post-verità investono i mondi relazionale e affettivo, dando forma a una personale cosmologia speculativa, dove l’opera si fa oggetto magico, possibilità di aprire un’alternativa sulla realtà.



TEXT




Dieci tavole radioniche originali, stampate a tutta pagina e singolarmente estraibili, perché possano essere interrogate. Incastonate tra loro, producono ulteriori associazioni tra i mondi iconografici di teorie non ufficiali e dottrine pseudoscientifiche, che attingono a sincretismo religioso, astrologia, esoterismo, cabala, New Age revival, cultura pop e internet. Sono pagine sature di colori, sfondi sci-fi e composizioni copy-paste, dove il Caduceo, il Triune e il Labirinto di Chartres si affiancano a Ohm, stelle a sei punte e Taijitu, per connettersi con gerarchie angeliche, alieni Grigi, Buddha e Ganesh. Questa selezione di tavole sudamericane, dove la radionica ha un linguaggio visivo più vivace rispetto alle versioni europee, proviene dal vasto archivio di ricerca di Mattia Pajè, artista visivo nella cui produzione pseudo-scienze, spiritualismo, post-verità, media e magia investono il mondo relazionale – elementi quotidiani, biografici, affettivi – dando forma a una personale cosmologia speculativa.
La radionica, pratica terapeutica alternativa nata a inizio Novecento, si basa sull’idea che forme, simboli, circuiti e dispositivi possano canalizzare, modulare o amplificare energie sottili e intenzioni, agendo sul piano fisiologico, psicologico, spirituale. Informazione e vibrazione sono considerate elementi intercambiabili, che possono essere trasmessi e manipolati attraverso diagrammi o strumenti: l’operatore radionico contatta il paziente a distanza, riscrivendo e informando le frequenze del suo campo vitale, per risolverne gli squilibri.
Una tele-terapia, che si connette alla magia e al sacro nell’uso che fa della parola, del numero, del disegno – dove le immagini assumono una funzione mediatrice e trasformativa. Ma che è anche strettamente connessa all’età informatica ed emblematica della relazione tra neo-esoterismi e tecnica  – il riferimento è in particolare agli studi di Erik Davis, da Techgnosis (1998) a High Weirdness (2019) – non solo perché la sua pratica fa apertamente uso di mezzi di comunicazione, ma perché ne reinterpreta l’operatività: una visione del mondo quale rete di energie, che appare coincidere con la rete informatica; un uso del segno quale strumento che può riscrivere i codici vitali, come un’interfaccia. La radionica si presenta come una sorta di equivalente nell’epoca elettronica di ciò che ha rappresentato il Magnetismo per l’età elettrica: esplorazioni incongrue e spettacolari, che svelano però – per citare le analisi di Tristan Garcia ne La vita intensa (2016) – una idea di modernità come promessa magica fatta dalla ragione.
L’infondatezza scientifica della radionica assume valore autopoietico nel contesto della pratica dell’artista, serve cioè a realizzare un dispositivo visivo-rituale che attiva trasformazioni immaginative, che si autodefiniscono e sostengono: un pendolino che oscilla tra la necessità del rito e il gioco dell’immaginario. Non semplici immagini, ma dispositivi estetici, strumenti sottratti al loro contesto per essere riattivati nel campo della performatività dell’immagine e contestualizzabili nella vasta produzione installativa e d’immagine dell’artista, dove i singoli oggetti o soggetti agiscono come elementi di un dizionario immaginativo e paraspeculativo. Operano trasformazioni e orientano percezioni, mescolano magnetismo e potenza simbolica, mediante un linguaggio non specificatamente narrativo, ma piuttosto diagrammatico, vicino alle logiche del simbolo, dove la funzione dell’elemento prevale sul racconto del contesto. Pajè agisce come una sorta di bricoleur, capace di comporre, o selezionare, amuleti visivi e dispositivi relazionali, ambientali, comportamentali. È lo stesso principio che anima operazioni come la mostra Fuori Terra e la parallela pubblicazione del manuale d’artista 1 (2022): selve d’immagini senza guida, costellazioni di connessioni possibili e apparizioni improvvise. Oppure lavori come Pila Thinkerwiller e Like atoms, I am different if I look at myself, dove lastre metalliche incise accumulano e catalizzano simboli e numeri che assumono il ruolo di condensatori di intenzioni, aprendo a innumerevoli possibilità o pulsioni inscritte nell’illustrazione di dinamiche relazionali, sia sociali che personali.
Seguendo le tracce che Georges Didi-Huberman indica ne L’immagine aperta, possiamo avvicinare questa selezione ad una raccolta di immagini operative, che non solo rappresentano, ma agiscono, sconfinano dalle loro fattezze, producono effetti. Interfacce, macchine spirituali che, per tornare a Erik Davis, funzionano da tecnologie dell’invisibile, capaci cioè di canalizzare forze e dare forma a ciò che sfugge alla logica lineare, in una sorta di pratica esoterica, intrisa di potere magico e di carica simbolica. In linea con le attenzioni dell’artista verso dinamiche sociali e digitali che producono fenomeni di controcultura e post-verità, pseudo-scienza e pseudo-storia, teorie del complotto e dottrine di medicina alternativa.
Il ruolo che assume la radionica in Pajè non è di tecnica occulta, ma di tecnologia dell’immaginazione: una struttura che mantiene il suo magnetismo formale e la sua promessa di efficacia, trasformandosi in promessa artistica capace di generare ritualità nuove. Non importa tanto la verità della pratica, quanto la sua capacità di produrre uno spazio di possibilità, sospeso e non finito. La cui fruizione avviene per attraversamento, per contatto, in uno spazio in cui la pagina diventa elemento rituale. Così il giornale non si limita a contenere immagini: è amuleto, dispositivo esoterico, archivio attivo, immagine aperta pronta a performare di volta in volta, assumendo nuove autenticità, individuate da chi lo manipola.






CONDYLURA10
w/MATTIA PAJÈ


2025
Edition of 100
20 pages
Broadsheet



10 €    BUY

Condylura publishes a free digital copy at sold-out



The condylura becomes an instrument for radionic diagnostics: ten plates, printed full-page and individually detachable, so that they can be consulted. In Mattia Pajè’s work, pseudo-sciences, spiritualism, and post-truth permeate the relational and emotional worlds, shaping a personal speculative cosmology in which the artwork itself becomes a magical object—a possibility to open an alternative reality.


TEXT




Ten original radionic plates, printed full-page and individually detachable, to be consulted. Interlocked with one another, they generate further associations between the iconographic worlds of unofficial theories and pseudoscientific doctrines that draw from religious syncretism, astrology, esotericism, Kabbalah, New Age revival, pop and internet cultures. These are pages saturated with colors, sci-fi backgrounds, and copy-paste compositions, where the Caduceus, the Triune, and the Labyrinth of Chartres stand alongside the Ohm symbol, six-pointed stars, and the Taijitu, further connecting with angelic hierarchies, Grey aliens, Buddha, and Ganesh. This selection of South American plates—where radionics displays a more vibrant visual language than its European counterparts—comes from the vast research archive of Mattia Pajè, a visual artist whose work blends pseudo-sciences, spiritualism, post-truth, media, and magic into the relational sphere—everyday, biographical, and affective elements—shaping a personal speculative cosmology.
Radionics, an alternative therapeutic practice born in the early twentieth century, is based on the idea that forms, symbols, circuits, and devices can channel, modulate, or amplify subtle energies and intentions, acting on the physiological, psychological, and spiritual planes. Information and vibration are considered interchangeable elements that can be transmitted and manipulated through diagrams or instruments: the radionic operator contacts the patient remotely, rewriting and informing the frequencies of their vital field to resolve imbalances. A form of tele-therapy that connects to magic and the sacred through its use of word, number, and drawing—where images take on a mediating and transformative function. Yet is also deeply tied to the information age and emblematic of the relationship between neo-esotericism and technology—particularly in reference to Erik Davis’s studies, fromTechgnosis (1998) to High Weirdness(2019)—not only because its practice openly uses communication media, but because it reinterprets their operation: a worldview as a network of energies that coincides with the digital network; a use of the sign as an instrument capable of rewriting vital codes, like an interface. Radionics appears, in the electronic age, as the equivalent of what Mesmerism represented in the electric one: incongruous and spectacular explorations that, however, reveal—borrowing from Tristan Garcia’s analysis in Intense Life (2016)—an idea of modernity as a magical promise made by reason.
The scientific unfoundedness of radionics takes on an autopoietic value within the artist’s practice: it serves to construct a visual-ritual device that triggers imaginative transformations, self-defined and self-sustaining—a pendulum oscillating between the necessity of ritual and the play of imagination. These are not mere images, but aesthetic devices, instruments removed from their original context to be reactivated within the field of the image’s performativity, and situated within the artist’s broader body of installations and image-based works, where individual objects or subjects function as elements of an imaginative and paraspeculative lexicon. They perform transformations and orient perceptions, merging magnetism and symbolic potency through a language that is not specifically narrative but diagrammatic, closer to the logic of symbols, where function prevails over contextual storytelling.
Pajè acts as a kind of bricoleur, capable of composing or selecting visual amulets and relational, environmental, and behavioral devices. This same principle animates projects such as the exhibition Fuori Terra and the parallel publication of the artist manual 1 (2022): forests of unguided images, constellations of possible connections and sudden apparitions. Or works such as Pila Thinkerwiller and Like atoms, I am different if I look at myself, where engraved metal plates accumulate and catalyze symbols and numbers that function as condensers of intention, opening up countless possibilities or impulses inscribed in the illustration of relational—both social and personal—dynamics.
Following Georges Didi-Huberman reasoning inThe Open Image, this selection can be approached as a collection of operative images, which not only represent but act—images that overflow their appearance and produce effects. Interfaces, spiritual machines that, to return to Erik Davis, operate as technologies of the invisible—able to channel forces and give form to what escapes linear logic, in a kind of esoteric practice imbued with magical power and symbolic charge.
In line with the artist’s attention to social and digital dynamics that give rise to phenomena of counterculture and post-truth, pseudo-science and pseudo-history, conspiracy theories and alternative medicine doctrines, the role that radionics assumes in Pajè’s work is not that of an occult technique, but of a technology of imagination: a structure that preserves its formal magnetism and its promise of efficacy, transforming into an artistic promise capable of generating new ritualities. The truth of the practice matters less than its capacity to produce a space of possibility—suspended, unfinished. Its fruition occurs through passage and contact, in a space where the page itself becomes a ritual element. Thus, the publication does not merely contain images: it is an amulet, an esoteric device, an active archive, an open image ready to perform anew each time, assuming new authenticities as identified by whoever manipulates it.





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